giovedì 23 novembre 2017

Dieta senza glutine per chi non è celiaco: rischi e benefici



Dieta senza glutine per chi non è celiaco: rischi e benefici

Gli alimenti senza glutine possono arrecare gravi problemi a chi non è celiaco. Medici specializzati sconsigliano l’uso di questi prodotti per chi non ha reali problemi. Pare che aumenterebbe il rischio di obesità e patologie cardiovascolari.

Mangiare alimenti gluten free è diventata ormai una moda, ma durante la giornata mondiale della celiachia, il 16 maggio di ogni anno, si cerca di interromperla e di mettere in guardia chi non è celiaco. Il glutine è una sostanza proteica contenuta in diversi cereali (grano, orzo, kamut e così via), impiegato anche per legare degli alimenti: si può trovare, dunque, anche in alcuni cibi insospettabili come cioccolato o zuppe pronte.

Non è una sostanza fondamentale per l’organismo perciò chi ne fa a meno, in realtà non ha squilibri dal punto di vista nutrizionale. Molti tendono a voler prevenire i possibili rischi di insorgenza di intolleranza al glutine, eliminandolo seguendo diete improvvisate o fai-da-te.  Questo, però, provoca dei danni all’organismo che non ha bisogno di questa eliminazione.

La celiachia: che cos’è?

La celiachia è un’ infiammazione cronica dell’intestino tenue che si sveglia ogni qualvolta viene ingerito il glutine. Nausea, vomito, gonfiore intestinale sono solo alcune delle tante conseguenze che possono succedere a chi per sbaglio assume glutine.

Si fa un particolare esame del sangue per stabilire se si è celiaci o no. Chi ne soffre ha una lesione all’intestino per cui le proteine vengono catalogate come nemici del corpo e quindi attaccate. Per chi ha di questi problemi eliminare il glutine è l’unica soluzione possibile, ma chi non ne è affetto deve continuare ad assumerne se non vuole che l’organismo si ribelli.

Studi recenti hanno messo in luce come il sistema immunitario e la salute batterica dell’organismo sono compromessi da una alimentazione gluten free quando non è strettamente necessaria. Si tratta di una pessima abitudine alimentare che non porta al benessere, anzi.

Provoca delle carenze nutrizionali e dei rischi soprattutto in età pediatrica e un aumento di apporto di grassi e calorie. Con il passare del tempo succederà che l’organismo di un non celiaco che invece assume cibi gluten free non riconoscerà più il glutine e lo catalogherà come “nemico”, scatenando reazioni avverse.

I benefici di una dieta senza glutine

Si stima che più di 2,5 milioni di persone soffrono di celiachia, ma che moltissimi se ne accorgono relativamente tardi perché non hanno alcun sintomo (molti segnali possono essere scambiati per altre patologie o disturbi). Nel caso dei celiaci gli alimenti senza glutine apportano dei benefici al loro organismo.

Ci sta una grande gamma di prodotti senza glutine: riso, quinoa, soia, avena, miglio, grano saraceno. A parte l’esclusione del glutine, la dieta alimentare deve essere variegata, sana ed equilibrata per far avere al corpo il giusto apporto nutritivo. Frutta e verdura di stagione a volontà, porzioni più piccole, ma si può mangiare fino a 5 volte al giorno, meno zuccheri e meno bevande gassate. Tutto ciò darà sollievo dai fastidiosi disturbi gastrointestinali e l’energia sarà maggiore (sempre se si è celiaci).

Ovviamente la scelta più saggia è quella di contattare un dietologo, un nutrizionista che possa indicare una dieta personalizzata, come quella genetica ad esempio, basata sulla tradizione mediterranea, sana e compatibile con le abitudini alimentari diverse per ognuno. Nel 2002 è stato fatto uno studio su un campione di celiaci per valutare la loro qualità di vita. Sono stati analizzati prima di aver intrapreso una dieta gluten free e un anno dopo averla inziata.

Si è subito notato che i disturbi gastrointestinali sono diminuiti dopo la dieta quindi si è potuto affermare che grazie ad una alimentazione appropriata i celiaci vivono meglio o addirittura bene in moltissimi casi. Se si sta per iniziare una dieta del genere, potrebbe essere scoraggiante andare a mangiar fuori nei ristoranti, meglio chiamare per accertarsi che siano attrezzati.

Concentrarsi sui cibi sani come frutta, verdura, pollo e carne magra per non sbaglaire. Stare attenti al glutine nascosto: molto spesso può essere nei cibi in scatola.


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martedì 21 novembre 2017

LA MACA “AL FEMMINILE “




E' utilizzata da secoli, nella medicina tradizionale peruviana, per aumentare la fertilità nell'uomo e nella donna. I moltissimi studi effettuati per verificare questa proprietà sono oggi approdati a conclusioni sorprendenti. Tanto che la Maca è oggi usata in endocrinologia e ginecologia da molti medici specializzati nelle disfunzioni ormonali, nei problemi sessuali e di infertilità maschili e femminili.

Per la infertilità La Maca è particolarmente interessante perché ha un'azione "poliendocrina": contiene, cioè, sostanze che agiscono stimolando la produzione degli ormoni naturali. Nella donna, pu essere usata nell'ambito della cura per l'infertilità, poiché rende più efficienti: la maturazione dei follicoli l'ovulazione, la preparazione dell'endometrio per l'annidamento dell'embrione. Inoltre, questa pianta pu migliorare anche la fertilità nell'uomo, agendo sulla maturazione degli spermatozoi, aumentandone il numero e migliorandone la motilità (ovvero la capacità di raggiungere l'uovo da fecondare). Nella donna Nella donna, la Maca è particolarmente efficace per risolvere e prevenire: le irregolarità mestruali; l'assenza del ciclo (anche causata dall'anoressia, un disturbo nervoso che comporta il rifiuto categorico del cibo); i disturbi collegati al climaterio (la fase che precede la menopausa); l'osteoporosi (fragilità delle ossa) in menopausa. Il dosaggio e la modalità di somministrazione del rimedio è diverso a seconda del singolo problema. Nella donna, inoltre, la Maca si è rivelata molto utile anche in caso di perdita dell'energia, stanchezza, scarso rendimento intellettuale e della cosiddetta "sindrome da affaticamento cronico" ,una condizione grave e invalidante per cui ci si sente perennemente esausti. Poiché la Maca è in grado di regolare la caduta degli estrogeni e del progesterone (i due ormoni sessuali principali
 della donna che intervengono rispettivamente nella prima e nella seconda metà del ciclo mestruale), trova indicazione in alcune forme di mal di testa (emicrania) che compaiono durante o nel periodo precedente o successivo al ciclo. Un afrodisiaco La Maca contiene particolarmente sostanze, chiamate "isotoicianati" conosciute per il loro effetto contro il calo del desiderio (soprattutto maschile, ma anche femminili) e quindi e quindi agisce come afrodisiaco. La Maca, infatti, grazie allo stimolo ormonale, determina una vasodilatazione (allargamento dei vasi sanguigni) a livello degli organi genitali. Questo comporta una maggiore vascolarizzazione sia dei corpi cavernosi del pene nell'uomo sia del clitoride nella donna. Una maggiore vascolarizzazione dei genitali femminili aumenta il livello di lubrificazione è infatti un meccanismo che deriva in parte dalla trasudazione di liquidi dai vasi sanguigni. Il rapporto sessuale risulta pertanto meno difficoltoso e questo permette di migliorare la sessualità. Come agisce Il percorso che caratterizza la vita degli ormoni femminili che intervengono nella sessualità e nella riproduzione si svolge attraverso: l'ipotalamo, l'ipofisi, l'ovaio. L'ipotalamo stimola l'ipofisi a produrre le cosiddette gonadotropine: Fsh e Lh. L'Fsh stimola a sua volta l'ovaio a produrre estrogeni e quindi a fare maturare il follicolo. L'Lh è responsabile dell'ovulazione e quindi della disintegrazione del follicolo e della liberazione dell'uovo. Il meccanismo d'azione della Maca risulta a questo proposito particolarmente interessante, perché si svolge a livello dell'ipotalamo , quindi a livello superiore. Regola fin dall'inizio quella cascata ormonale che porta, come ultimo passo, nella donna, ad avere cicli regolari, un corretto sviluppo dei follicoli e una giusta ovulazione. Poiché la maca mantiene regolari i tassi di Fsh e di Lh, nell'uomo contribuisce a una migliore sessualità e fertilità: l'Fsh stimola infatti la maturazione degli spermatozoi e l'Lh interviene a livello della potenza sessuale. I minerali Al di là della sua interessante "corredo ormonale", la Maca contiene anche moltissimi minerali, tra cui: il calcio (importante per l'accrescimento dello scheletro e per la prevenzione dell'osteoporosi); il magnesio (efficace per il rafforzamento delle difese immunitarie); il potassio e il fosforo (stimolando l'energia), il ferro (combatte alcune forme di anemia). La Maca contiene inoltre elevate quote di oligoelementi, soprattutto manganese, rame e zinco che aiutano a far sì che il ferro possa essere assorbito in modo completo dall'organismo. Tra l'altro, il manganese e lo zinco sono sostanze importanti nell'ambito della medicina della riproduzione maschile e femminile. La Maca è anche molto ricca di vitamine, soprattutto del gruppo B. Con la pillola La Maca è un prodotto fitoterapeutico e, nonostante agisca a livello degli ormoni, è possibile assumerla anche in gravidanza oppure mentre si sta prendendo la pillola anticoncezionale. In entrambi i casi, per, il ciclo ormonale naturale è messo a silenzio dall'assunzione della pillola oppure, nel caso della gravidanza, dagli ormoni che produce la placenta. In queste circostanza, la Maca non avrà pertanto piena azione ormonale, ma potrà comunque essere utile per aumentare il desiderio sessuale oppure come energizzante.


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lunedì 13 novembre 2017

Burro d’arachidi fatto in casa



Burro di arachidi fatto in casa

Il burro di arachidi si ottiene frullando le arachidi. Si può acquistare oppure farselo da soli. Scegliendo la seconda soluzione saremo certi della genuinità del prodotto e possiamo realizzarlo a nostro gusto e piacimento. Infatti, aggiungendo un poco più di olio la cremosità e la spalmabilità aumentano, possiamo renderlo più sapido aggiungendo il sale e renderlo anche più croccante aggiungendo nel mixer, una volta che ormai è diventato cremoso ed è quasi pronto, qualche arachide tostata e lasciata intera. Prepararlo è molto semplice e veloce, di seguito ecco la ricetta per ottenere un ottimo e saporoso burro di arachidi fatto in casa. Non avrà nulla da invidiare da quelli comprati e avrà il vantaggio di non avere conservanti e additivi. Naturalmente va tenuto in frigorifero ed  il periodo di conservazione sarà più breve, un paio di settimane al massimo altrimenti diventa rancido, ma non credo che rimarrà nel vasetto per un tempo così lungo.
  • Resa: 4 Persone servite
  • Preparazione: 10 minuti
  • Cottura: 10 minuti

Ingredienti

  • 600 gr. arachidi con il guscio (500 gr. già sgusciate)
  • 1 pizzico sale (facoltativo)
  • 3 cucchiai olio di semi di arachidi
  • 2 cucchiaini zucchero di canna
  • 1 cucchiaino miele di acacia o millefiori

Preparazione

  1. Sguscia le arachidi, estrai la nocciolina e pelala eliminando la pellicina rossastra che la ricopre.
  2. Fodera una placca con carta da forno e sistemaci sopra le noccioline in un unico strato.
  3. Mettile nel forno già caldo a 170 gradi e lasciale tostare per un quarto d’ora.
  4. Quindi estrai la placca dal forno, metti le noccioline in una terrina e lasciale riposare finchè non si saranno raffreddate del tutto.
  5. Una volta che si sono freddate, trasferiscile nel mixer.
  6. Unisci lo zucchero di canna, l’olio di semi di arachidi e il miele.
  7. Inizia a frullare e, come l’impasto inizia a diventare cremoso, smetti di frullare, apri il mixer ed unisci il sale. 
  8. Richiudi il mixer e continua a frullare finchè non otterrai un composto cremoso, liscio ed omogeneo. Durante questa operazione ferma il mixer ogni tanto per evitare che il composto si surriscaldi troppo ed i principi attivi vengano alterati.
  9. Trasferisci il burro di arachidi in un barattolo di vetro a chiusura ermetica e conservalo in frigorifero.
  10. Il burro di arachidi fatto in casa è già pronto all’uso quindi, volendo, puoi subito affondare il cucchiaino.

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Torta Barozzi, pochi carboidrati senza rinunciare al gusto



Prepararsi ai pranzi delle feste, non vuol dire necessariamente rinunciare al gusto, ma adattarlo al momento.

La torta Barozzi è una ricetta piuttosto grassa e ricca di calorie, a base di mandorle e cioccolato, altamente energetica. 

INGREDIENTI 



PREPARAZIONE 

Sciogliere il cioccolato con il burro a bagnomaria.
A parte montare i tuorli con lo zucchero e aggiungere le mandorle tritate molto finemente, il rum, il caffè e solo alla fine il cioccolato e il burro precedentemente sciolti.
Gli albumi vanno montati a neve e uniti al resto.
Quando tutti gli ingredienti saranno ben amalgamati, mettere in una teglia da forno imburrata e infarinata e cuocere a 180° per circa 30 minuti.
Fateci sapere com’è nei nostr canali social con l’hastag 
#passioneperlosport


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venerdì 10 novembre 2017

Cos’è consentito e non in low carb?



Premessa:

Bisogna bene un bicchiere d’acqua appena svegli e almeno due litri durante il giorno. 

Chiaramente va benissimo anche bere tè o acqua e limone o anche acqua limone e zenzero ma senza zuccheri aggiunti o dolcificanti.

Lo spuntino prevede o biscotti proteici o integrali o una barretta (sempre e solo una al giorno, quindi si può scegliere se mangiarla la mattina o il pomeriggio.

I carboidrati ammessi:

Questa è la prima fase nella seconda fase si può poi introdurre un frutto o uno yogurt magro.

La frutta consentita è:

  • mela
  • pera
  • arancia
  • mezzo pompelmo
  • mezzo melone
  • pesca
  • due prugne
  • mezza banana

I frutti vietati:

  • cachi
  • fichi
  • uva

I condimenti variano fra succo di limone, sale, pepe, peperoncino, aceto di vino bianco o rosso. Sì all’olio di oliva ma solo extravergine e solo un cucchiaio. Sì ad aglio e cipolla, no all’aceto balsamico.

Le verdure, invece, concesse senza limiti sono:

cime di rapa, cavolfiore, iceberg, bietola, zucchina, radicchio, broccolo, cetriolo, scarola, sedano, crescione, germogli di soia, champignon, spinaci, soncino, trevisana, finocchi, funghi porcini, cardi, insalata belga, indivia, cavolo, lattuga, rucola, ravanello, valeriana, cicoria, cavolo bianco.

Le verdure da usare senza esagerare (che significa massimo 200 g) sono: asparagi, melanzane, zucca gialla, cavolini di Bruxelles, fagiolini, tarassaco, rape, pomodori, carciofi e peperoni gialli e rossi.

Assolutamente vietate sono le patate, il mais, le barbabietole rosse, le carote, i cuori di palma e i legumi.

No al fritto.

I carboidrati vengono introdotti due volte alla settimana ma questo dopo una prima fase più rigida. È preferibile evitare quelli raffinati e scegliere quelli integrali.


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mercoledì 8 novembre 2017

CARBOIDRATI A CENA PER DIMAGRIRE



Un luogo comune che è diffusissimo anche nel bodybuilding è che, se si vuole dimagrire, non bisogna consumare i carboidrati alla sera. Alcuni dicono dopo le 18 altri dopo le 14. Non si sa bene da dove provenga questo “dogma”, forse è legato a detti della saggezza popolare quali “a colazione mangia come un re, a pranzo come un principe e a cena come un povero” oppure “fai colazione per due, dividi il pranzo con un amico e dai la cena al tuo nemico”. Queste credenze popolari si riferiscono però alle quantità di cibo, probabilmente mettendole in relazione al rallentamento del metabolismo e quindi alle capacità digestive dell’apparato gastrointestinale che, dopo le 22, tende ad andare in riposo funzionale e quindi non deve essere sovraccaricato per un ottimale recupero organico, ma esse non distinguono i carboidrati dalle proteine. Probabilmente i bodybuilders e le persone wellness oriented, molto attenti alla regolazione della loro glicemia, considerata l’insulina un ormone ingrassogeno, temono che l’eventuale picco insulinico serale secreto da un pasto ricco di carboidrati, possa compromettere il loro sforzo per mettersi in forma. In effetti uno studio di Jacobs e colleghi, comparso su “Cronobiologia” nel 1975, confermava ciò dimostrando che una dieta normocalorica, somministrata a persone normopeso costituita da un unico pasto giornaliero di 2000 Kcal. consumato al mattino, provocava un calo di peso che non avveniva se lo stesso pasto veniva consumato alla sera. D’altro canto, Caviezel e colleghi, in “Obesity: Pathogenesis and treatment”, nel 1981, dimostravano che la somministrazione serale di un monopasto giornaliero di 600 Kcal in soggetti obesi maschi comportava un calo di peso superiore rispetto allo stesso pasto consumato al mattino. Già a questo punto appare evidente un differente risultato nei due studi che però erano stati eseguiti su tipologie di soggetti diverse: il primo su soggetti normopeso, il secondo su soggetti obesi. Forse  che gli obesi hanno una risposta crono-metabolica differente? In effetti, a sostegno di questa ultima ipotesi arriva, nell’aprile 2011, un nuovo studio su 78 poliziotti israeliani.

Sofer S. e la sua equipe della Facoltà di Agricoltura, cibo e ambiente dell’Istituto di Biochimica e Scienze della Nutrizione dell’Università di Gerusalemme (Israele), hanno condotto uno studio per determinare gli effetti di una dieta ipocalorica con i carboidrati consumati prevalentemente a cena. Lo studio ha coinvolto 78 poliziotti sovrappeso, con indice di  massa corporea superiore a 30 (l’indice di massa corporea è un parametro del rapporto altezza /peso che dà la misura di quanto ci si discosti dal peso ideale). I poliziotti, secondo i parametri sopra citati, risultavano essere obesi con caratteristiche androidi o iperlipogenetiche. I soggetti dello studio sono stati divisi in due gruppi seguendo un criterio di casualità, ciascuno dei quali ha seguito per sei mesi una dieta di circa 1300-1500 Kcal., composta di circa il 20% di proteine, 30-35% di grassi, il 45-50% di carboidrati. Il gruppo sperimentale consumava i carboidrati prevalentemente a cena mentre il gruppo di controllo li consumava in maniera frazionata nei vari pasti della giornata. In pratica il gruppo sperimentale seguiva una dieta low-carb (bassa in carboidrati) durante il giorno consumando i carboidrati prevalentemente a cena. La cena per il gruppo sperimentale consisteva in due possibili alternative:

a)    2-4 fette di pane + 2 cucchiai di formaggio fresco spalmabile oppure una sottiletta, mezza scatoletta di tonno, un’insalata mista, un cucchiaio di olio oppure un quarto di avocado, uno yogurt alla frutta o un gelato dietetico o  due biscotti o un dolcetto

b)    Una porzione di riso, pasta o legumi oppure 1-2 patate o 1-2 patate dolci un cucchiaio di salsa di carne (intingolo per arrosto),  verdura cotta  o un’insalata mista, un cucchiaio di olio o un quarto di avocado, uno yogurt alla frutta o un gelato dietetico o due biscotti o un dolcetto.

In ogni caso non esattamente una dieta “salutistica” o da atleta ma occorre considerare che i soggetti dello studio erano individui sovrappeso e che, la dieta globalmente era comunque ipocalorica e perciò dimagrante. I risultati dello studio, scioccanti per i più ma non certo per me, sono i seguenti: una maggior perdita di peso, con conseguente riduzione della circonferenza del girovita e riduzione della massa grassa, furono osservati nel gruppo sperimentale che aveva consumato i carboidrati prevalentemente a cena rispetto al gruppo che aveva consumato i carboidrati suddivisi durante la giornata. È stato inoltre riscontrato un notevole miglioramento della glicemia a digiuno, della resistenza insulinica, del colesterolo totale, LDL e HDL (è cioè diminuito il cosiddetto colesterolo cattivo e aumentato quello buono) e dei markers infiammatori (proteina C – reattiva ( PCR ) , fattore di necrosi tumorale – a ( TNF – a ) e interleuchina -6 (IL -6). (Sofer S. Eliraz A. Kaplan S, Voet H. Fink G, Kima T, Madar Z, Greater Weight Loss and Hormon Changes After 6 Months Diet With Carbohydrates Eaten Mostly at Dinner. Obesity, (Silver Spring), 2011 Apr 7, (E-pub, ahead of print).

Gli autori di questo studio speculano che questi risultati, nel  gruppo che assumeva carboidrati a cena, siano dovuti  ad una maggior produzione di adiponectina che è un ormone antinfiammatorio, il che spiegherebbe la diminuzione dei markers infiammatori ed il miglioramento della sensibilità insulinica; inoltre lo stimolo della leptina, che è un ormone anoressante, dovuto al picco di insulina causato dal pasto serale ricco di carboidrati, favorirebbe un livello di leptina più elevato durante tutto il giorno che si tradurrebbe con una minor ingestione di cibo.

Spendiamo ora due parole sulla leptina, il cosiddetto ormone della sazietà, secreto dagli adipociti del tessuto adiposo. È stato visto che gli individui che hanno una deficienza di leptina assumono più calorie; coloro che non producono leptina hanno un aumento della fame ed un alterato meccanismo della sazietà e quando a questi individui carenti di leptina viene somministrata la leptina la loro fame diminuisce.

La riduzione della leptina, che avviene  durante la dieta ipocalorica, è un segnale di deficit nutrizionale che comporta l’aumento della fame per compensare questo deficit, per questo i bodybuilders sotto gara sono sempre così affamati, soprattutto se seguono diete low carb. Quando la leptina si abbassa avvengono alcuni meccanismi di adattamento finalizzato alla sopravvivenza: il metabolismo si abbassa, diminuisce la vitalità per cui  si ha sempre meno energia e viene inibito l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, deputato alla riproduzione (diminuita produzione di testosterone ed estrogeni), in quanto in condizioni di carenze alimentari non è opportuno sprecare energie finalizzate per avere figli che troverebbero probabilmente problemi di sussistenza. È l’insulina fondamentalmente l’ormone che stimola la produzione di leptina e, di fatto, consumare ogni tanto un pasto libero ricco di carboidrati può aiutare il dimagrimento favorendo la produzione di leptina e stimolando il metabolismo. Che sia l’insulina lo stimolo della produzione della leptina e non i livelli di glucosio lo dimostra il fatto che negli individui insulino-resistenti che hanno quindi valori alti di insulina nonostante i valori di glicemia ancora nella norma, i valori di leptina sono più alti. Il problema è che in questi soggetti, soprattutto se obesi, esiste anche la leptino-resistenza e quindi l’eventuale aumento di leptina non produce i risultati anoressanti desiderati. Altro ormone implicato nella regolazione dell’appetito è la Ghrelina che è secreto prevalentemente  dallo stomaco e dal pancreas ed è complementare ed antagonista alla leptina, essendo essa ad effetto oressizzante, cioè stimola l’appetito. La Ghrelina  stimolando l’ipofisi stimola anche la secrezione dell’ormone della crescita ma non solo, anche della prolattina e del ACTH (ormone adrenocorticotropo), inibisce l’asse ipofisi-gonadi ed influenza negativamente il sonno. L’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrenali porta alla maggior produzione di cortisolo, ormone che regola le risposte adattive alla varie fonti di stress anche tramite le scelte alimentari. La Ghrelina è soppressa soprattutto da un pasto ricco di carboidrati in quanto è l’insulina che ne  inibisce la produzione,  infatti negli individui insulino-resistenti la regolazione della secrezione della Ghrelina, successiva ad un pasto ricco di carboidrati, è alterata. La Ghrelina, tra l’altro, agisce sul metabolismo dei grassi diminuendone  l’utilizzo ma questa apparente controindicazione è invece coerente con una situazione di carestia dove l’obiettivo è cercare il cibo tramite la motivazione data dallo stimolo della fame e risparmiare il grasso di deposito inteso come preziosa risorsa energetica.  A questo punto è naturale fare una considerazione:  se la chiave di lettura di questo studio fosse la stimolazione della leptina, come suppongono gli autori, il cui effetto sarebbe soprattutto sulla modulazione dell’appetito che senz’altro riveste un ruolo molto importante riguardo la possibilità di attenersi ad un protocollo dietetico, però non si giustifica il fatto che gli individui col pasto serale a base di carboidrati a parità di calorie totali giornaliere (1300.1500) siano calati di più rispetto a quelli che avevano i carboidrati frazionati negli altri pasti e lo stesso dicasi per quello studio di Caviezel che comportava l’assunzione di un solo pasto serale di 600 Kcal. Ebbene ci deve essere qualche altro fattore! Qui subentra il cortisolo: questi individui obesi probabilmente  appartengono al morfotipo iperlipogenetico caratterizzato da obesità di tipo androide con prevalenza dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surreni e quindi maggior produzione di cortisolo. Ebbene diversi studi effettuati su animali e uomini hanno dimostrato un rapporto inverso tra cortisolo e leptina. Cortisolo alto e lepitina bassa sono una caratteristica sia di modelli animali di depressione sia di persone affette da disturbi dell’umore. Inoltre i carboidrati favoriscono la produzione di serotonina e conseguentemente di melatonina che ha anch’essa un effetto inibente sulla produzione di cortisolo. Quindi se il cortisolo ha come effetto acuto quello di  promuovere l’ossidazione dei trigliceridi, a lungo termine aumenta l’assunzione di cibo ed essendo iperglicemizzante favorisce la resistenza insulinica provocando così l’aumento di grasso corporeo soprattutto a livello viscerale,centrale e nel dorso. È esperienza comune conoscere qualcuno che dopo terapia protratta con corticosteroidei ( es. cortisone) si è ritrovato ingrassato di svariati chili senza aver modificato le proprie abitudini alimentari. Negli individui iperlipogenetici con prevalenza dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surreni, già al mattino esistono dei livelli di cortisolo particolarmente elevati che tendono ad innalzare la glicemia, per cui non è raro trovare una glicemia a digiuno abbastanza elevata. Se si assumono troppi carboidrati al mattino la glicemia si innalza ulteriormente con uno stimolo insulinico particolarmente ingrassogeno perché trova come substrato oltre che  il glucosio proveniente dal pasto anche quello prodotto dalla neoglucogenesi prodotta dal cortisolo. Viceversa lo stimolo insulinico di un pasto ricco di carboidrati consumati prevalentemente alla sera  preceduto da pasti low carbs trova una situazione di bassi livelli di glicogeno sia a livello epatico che muscolare, soprattutto se la persona durante la giornata ha eseguito anche una discreta attività fisica,  e anche un basso livello di glucosio nel sangue e quindi la stimolazione insulinica causata dai carboidrati del pasto serale favorisce la sintesi soprattutto della riserva di glicogeno epatico e attiva tutti quei meccanismi di regolazione ormonale visti precedentemente che riguardano la leptina, la Ghrelina, la serotonina e quindi il cortisolo, che metteranno l’organismo nelle condizioni di dimagrire più facilmente e soffrendo meno la fame. Questo fatto non è irrilevante anche se qualcuno potrebbe dire “a me non interessa soffrire la fame se alla fine ho un risultato” ma il problema è che la “fame” cronica è generatrice di stress cronico e la secrezione di cortisolo indotta dallo stress cronico favorisce l’aumento del grasso viscerale addominale ancora di più rispetto al grasso sottocutaneo. Il grasso viscerale è particolarmente individuabile perché è associato alla resistenza insulinica, all’ipertensione, alle malattie cardiovascolari e al diabete. Quindi lo stress mentale derivante da una restrizione alimentare con una bassa “compliance” induce un aumento della secrezione del cortisolo che aumenta ulteriormente l’appetito e favorisce l’aumento del grasso a livello addominale. Senz’altro nei soggetti  iperlipogenetici tendenzialmente cortisolo-responder-stress-correlato, il pasto più a rischio è la cena dove sentono l’esigenza di rilassarsi e di conseguenza assumere i carboidrati in questo pasto aumenta la loro “compliance” nei confronti della dieta anche a parità di calorie assunte quotidianamente, diminuendo così i livelli di stress e cortisolo già tendenzialmente alti. Ma allora che sia da ribaltare l’antico detto “fai una colazione da re, un pranzo da principe e una cena da povero”? Oppure va interpretato in maniera diversa, nel senso che nei tempi passati la carne, la selvaggina, cioè le proteine erano appannaggio soprattutto dei ricchi e dei nobili ed invece i poveri si rimpinzavano di carboidrati ovverosia pane  e che quindi “cena come un povero” significhi mangia carboidrati alla sera? Ovviamente questa mia ultima ipotesi è una provocazione ma rimane senz’altro il fatto che non esiste un criterio univoco di alimentazione corretta ma la stessa deve essere personalizzata sulla base del sesso, delle predisposizioni genetiche, dei bioritmi individuali, delle condizioni ambientali e quindi secondo i concetti della cronormorfodieta o dieta. 


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mercoledì 1 novembre 2017

Biscotti Light




Ingredienti:

• 3 banane mature
• 150 g di fiocchi di avena
• 100 g di gocce di cioccolato fondente
• 1 cucchiaino di miele (facoltativo)

Questa ricetta ti consentirà di preparare 30 biscottini del peso di circa 25 g ciascuno, nulla ti vieta però di farne di meno ma più grandi. Il miele indicato negli ingredienti è facoltativo, perchè dipende da quanto li vuoi dolci e da quanto sono dolci le banane che stai utilizzando, di norma, comunque, le banane mature sono già parecchio dolci. Per preparare questi biscottini, sbuccia le banane e metti la polpa in una ciotola, poi schiacciala con una forchetta. Aggiungi poi alla polpa di banane i fiocchi di avena, le gocce di cioccolato fondente ed eventualmente anche il miele. Impasta il tutto ottenendo un composto morbido, quindi prelevane poco alla volta con un cucchiaino e forma tanti mucchietti di impasto su di una teglia foderata con carta da forno. Schiaccia i mucchietti con il dorso di un cucchiaio e trasferiscili in forno preriscaldato a 180 °C in modalità statica per circa 15 minuti, o comunque finché i biscottini saranno ben cotti e dorati. Lascia raffreddare i biscottini prima di servirli, in modo che si rassodino un pochino. Se vuoi ottenere dei biscotti più duri e sodi, puoi aggiungere all’impasto un paio di cucchiai di farina di riso o del cocco secco grattugiato. 


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